Testi interventi - La Giustizia

La camminata meditativa del 18 SETTEMBRE 2017 si è svolta nel Chiostro del Convento di Santa Maria  e ha avuto come tema conduttore: LA GIUSTIZIA.
Che sia umana o divina, la giustizia partecipa all'ordine delle cose e del governo del mondo e fin dall'antichità viene rappresentata con i tratti di una donna che tiene in mano una spada e una bilancia. Giotto nella cappella degli Scrovegni la contrappone al vizio dell'ingiustizia o dell'avarizia raffigurata con immagini in cui dominano la discordia e il disordine.

Abbiamo camminato all’interno del chiostro in silenzio cercando di ascoltare e di capire qual è il significato della giustizia in ognuno di noi (15p).
Ecco le nostre testimonianze:


INTERVENTO E CANTO DI OSCAR:  
In questa canzone recente dei nuovi Nomadi la Giustizia parla e si racconta in prima persona. Un passaggio che mi ha particolarmente colpito del testo è “… prendo in prestito la vostra testa giusto il tempo per farvi pensare”, che mostra come il senso di giustizia non è semplicemente presenta in noi, ma va ricercato e messo in atto con impegno.


SALVE SONO LA  GIUSTIZIA - Nomadi
Io sono la giustizia davanti a me sono tutti uguali
io sono la giustizia nei giorni dispari e in quelli pari
sono vestita a festa ho la lancia per lavorare 
prendo in prestito la vostra testa giusto il tempo per farvi pensare 
c’è chi mi vuole comprare dandomi fama, denaro, potere 
ma non so che cosa farmene perché io servo nostro signore.

Con le tasse ci vado d’accordo perché abbiamo la stessa pazienza 
di aspettare sul bordo del fiume quelli che peccano di arroganza
vivo la mia solitudine cercando nomi sopra una lista 
se c’è una cosa che mi fa sorridere, è la sorpresa di chi mi ha vista 
con i buoni sono clemente, con i cattivi il tempo dirà 
ma per chiunque mi sporchi la veste nessuno sconto, nessuna pietà.

Io sono la giustizia davanti a me sono tutti uguali
io sono la giustizia nei giorni dispari e in quelli pari
e tu se sei un uomo dividi onore, amore, coraggio
le tue leggi troppo spesso sono un vago miraggio
non ingannare la tua coscienza della vita sei servitore
chiamami ancora più forte mi troverai dentro il tuo cuore.



INTERVENTO DI ELISABETTA
Il termine giustizia deriva dal latino iustitia connesso con il termine ius  che si rifà ad una radice indoeuropea yu yug = unire, legare insieme, da cui viene anche jugum= giogo;  indica ciò che è giusto, l’insieme delle leggi e consuetudini che prescrivono un comportamento e quindi “legano”. Ma in latino c’è un altro termine che indica il diritto, il giusto ed è fas (contrario nefas) che indica la giustizia ma dal punto di vista del divino.
Gli antichi dunque già dall’uso di due termini diversi avevano chiara la distinzione tra una sfera di giustizia umana e una divina che però agisce nel presente di ogni uomo, non solo nell’Aldilà.
Ricordo l’episodio nel quale mi è stata chiara questa differenza tra una legge umana e di un’altra legge con un’altra giustizia, divina. Ero alle superiori e l’insegnante ci ha parlato dell’Antigone, una tragedia di Sofocle, grande tragediografo greco. Antigone, sorella di Eteocle e Polinice, che hanno lottato per la città di Tebe e si sono uccisi l’un l’altro. Il nuovo re di Tebe, Creonte ordina che Eteocle abbia gli onori di una degna sepoltura, mentre Polinice sia lasciato alle belve feroci. Chiunque avesse deciso di seppellire Polinice sarebbe stato condannato a morte. 
Antigone  decide di seppellire Polinice considerato nemico della patria. Quando viene catturata la donna spiega che rispetto alla legge umana, lei obbedisce agli agrapta nomima, alle leggi non scritte che sono scritte nel cuore degli uomini dagli dei. 
Penso che la giustizia come virtù cardinale, dunque come strada per essere veramente uomini passi da queste leggi non scritte che sono nel cuore di ognuno, sacre e inviolabili.
C’è un altro aspetto della tragedia che chiarisce elementi della giustizia: il fatto che Antigone abbia due fratelli.
L’uno ottiene la sepoltura, l’altro no: se pensiamo alla bilancia attributo della giustizia è come se un piatto fosse pieno e l’altro vuoto: l’equilibrio che è l’elemento essenziale della giustizia non si realizza con il suo gesto per il quale offre la vita riporta la bilancia in equilibrio. 


INTERVENTO DI NADIA
Per questa camminata ho scelto di leggere una poesia di don Luigi Verdi dal titolo “Rivesto il mantello della giustizia”.
Mi son resa conto che la mia scelta è stato il modo più  facile per riflettere sulla giustizia, perché questo è un tema difficile e fra le virtù è quella che maggiormente ci confrontiamo nella nostra quotidianità.
Di primo impatto per associazione al termine giustizia il mio pensiero va a tribunale e leggi da rispettare.
Ma la giustizia va ben oltre a tutto questo e trovare un significato che possa essere universale non è semplice; perché la giustizia è universale e non può essere vissuta in solitudine ma nel mondo.

“Rivesto il mantello della giustizia”  da Preghiere a Romena di Luigi Verdi
Rivesto il mantello della giustizia
in questo mondo col cuore chiuso
davanti alla tragedia,
alle urla di disperazione,
agli errori, ai crolli, alle solitudini.
Questa miseria che umilia gli uomini
e uccide l'amore per coltivare l'odio.

Rivesto il mantello della giustizia
per accogliere la tenerezza nascosta,
per spegnere la sete
e placare l'animo di tutti i viandanti
che vengono a lavarsi i piedi stanchi.

Rivesto il mantello della giustizia
affinché il povero mangi il pane quotidiano
con il sudore della fronte
e non con le lacrime dell'umiliazione.
Accogliamo il mistero di ogni loro partenza
e di ogni loro arrivo.

Rivesto il mantello della giustizia
affinché la nostra generazione
non si pieghi all'ipocrisia,
indossi la giustizia e si spogli di prudenza.
Tornino i volti e tornino gli sguardi,
occhi non più contratti d'odio
ma dilatati di luce di luna e di sole 


CANTO DI OSCAR E FRANCESCA
LA VERITA’ E’ UNA SCELTA – Ligabue
Ogni passo è una scelta
ogni passo fa l’impronta
quante cose spegne la prudenza
Ogni passo è in avanti
e ti porti tutto quanto
che lì dietro non rimane niente
È dura
non essere al sicuro
e vedere 
sempre un po’ più piccolo il futuro
E conosci tutti i santi
tutti i nomi dei potenti
e sai che fine fanno gli innocenti
La verità è una scelta
La verità è già pronta
di giorno sempre un occhio chiuso
di notte uno aperto
La verità è una scelta
La verità è un’impresa
di notte sempre un occhio aperto
di giorno un occhio sempre sempre chiuso

Ogni bacio è una scelta
ogni riga di giornale
ogni cosa che non vuoi sentire
Ogni tanto non ci pensi
non pensarci è già una scelta
ogni tanto non ce la puoi fare
È dura
non essere al sicuro
ed avere tutto quel bisogno di futuro
Quanto più è profondo il pozzo
meno arrivano gli spruzzi
quanto più ristagna il tuo disprezzo

La verità è una scelta
La verità è già pronta
di giorno sempre un occhio chiuso
di notte uno aperto
La verità è una scelta
La verità è un’impresa
di notte sempre un occhio aperto
di giorno un occhio sempre sempre chiuso

Ogni battito è una scelta
ogni sguardo mantenuto
ogni nefandezza che hai scordato
Ogni tanto non ci pensi
vuoi soltanto andare avanti
e schivare tutti gli incidenti

La verità è una scelta
La verità è già pronta
di giorno sempre un occhio chiuso
di notte uno aperto
La verità è una scelta
La verità è un’impresa
di notte sempre un occhio aperto
di giorno un occhio sempre sempre chiuso.

INTERVENTO DI MIRKO
Nella camminata serale fatta al Santuario di S. Maria del Cengio sono emerse immagini molto significative e penetranti per cercare la giustizia: il cuore dilatato, cercare una scelta di verità, la possibile insonnia dell'ingiusto (un occhio che non si chiude) quale residuo di una coscienza soffocata. Nei vari spunti emersi  si è fatto strada l'ideale della giustizia intesa come la possibilità di allargare lo sguardo anzi il dovere di vedere persone come noi sofferenti, vittime che hanno bisogno del nostro aiuto. Le situazioni sono spesso non ben delineate e confuse ma sicuramente c'è il profilo di una vittima inerme  che merita tutela. Per scegliere la verità bisogna distinguerne il profilo mobile, sfuggente (eh sfugge anche per schivare i carnefici). 
D'altro lato la giustizia che viene vissuta ordinariamente è spesso solo il nome con cui si maschera una situazione ben diversa. Poi  le strutture sono spesso marginali e limitate e il cuore dell'uomo  è spesso naturalmente portato a guardare altrove. Così il difensore si sente incapace di andare incontro ai bisogni delle persone. Peraltro alcune persone non vogliono dei difensori ma dei vendicatori, dei killer.
 Come si concilia l'ideale e il reale della giustizia? Il problema  mi è sorto anche quando dopo aver finito l'università mi sono affacciato al mondo della pratica legale. In più l'anima ideale alimentata dalla religiosità cristiana si veniva a scontrare con dinamiche conflittuali nelle quali sembrava opportuno accantonare ogni considerazione spirituale per una logica adesiva e commerciale.
Ma è veramente così? Ci può essere  punto di raccordo fra l'ideale spirituale e la situazione arida, deserta che spesso si presenta? A partire da un articolo che ho letto nel 1998 (in allegato) sull'inserto culturale del Sole 24 ore ho trovato tracce di una soluzione.  Un'analisi antropologica iniziata negli anni Sessanta dall'antropologo Renè Girard, a partire dall'esame della grande letteratura, rilevava dinamiche antropologiche vissute e non percepite. Alcuni modelli di comportamento acquisitivo  sono il nostro motore nascosto, suggeriscono una logica di possesso acquisitiva, ne seguono i i conflitti. Determinano  vittime innocenti e talvolta le forze si uniscono contro il capro espiatorio che provochiamo. Si tratta di un fenomeno nascosto dietro i racconti mitici che raccontano la storia dal punto di vista del carnefice e non dal punto di vista delle vittime. Lo si è trovato esaminando alcuni racconti e tradizioni antiche alla luce degli studi etnografici di fine Ottocento. Le scritture della tradizione giudaico-cristiana  assumono spesso  il punto di vista  delle vittime. E così il capro espiatorio ha un nome particolare che mostra la sensibilità, e la delicatezza del Creatore verso la creatura: l'agnello di Dio. Si tratta di una rivelazione, parola che è il significato della parola Apocalisse. Anche la civiltà greca  intuiva con senso tragico la posizione delle vittime ma solo nel cristianesimo la vittima viene qualificata, prende la parola (ad esempio nei salmi)  e, addirittura  espressamente adorata. Basta pensare all'ostia sull'altare. Da qui si comprende in modo nuovo la reverenza e il rispetto che merita l'ostia. La parola latina hostia significa infatti vittima.  Grazie al cristianesimo c'è una maggior consapevolezza storica del fenomeno, finalmente vittime nascoste hanno trovato piena luce nella memoria, come persone. Si è fatta strada una maggior consapevolezza storica, anche se la storia la scrivono i vincitori le vittime e coloro che le difendono ne diventano i riconosciuti permanenti protagonisti. Un'adeguata antropologia riesce a scorgere nella situazione reale posizioni di fatto ben precise, posizioni normalmente non avvertite o confuse nella percezione generale. Si delineano così chiaramente due figure ben presenti nella pratica:  quelli  della vittima inerme e  quella dell'accusatore il cui spirito prende il corpo di alcune persone. La parola Satana significa infatti accusatore. Con questo studio antropologico si allarga la visuale e si vedono le vittime nascoste. Resta il problema di come difendere le vittime. Ma con la tradizione cristiana, a partire dalla grande tradizione dei profeti, da Daniele che difende Susanna, dal Maestro che difende la prostituta davanti al plotone di esecuzione  fino ai martiri contemporanei si apre la sua possibile migliore difesa. La tradizione giudaico cristiana diventa così non solo una grande fonte di conoscenza. Si prospetta anche una nuova esperienza, un rovesciamento della dinamica che quando coinvolge tutta la persona diventa conversione: raccontando la storia non dal punto di vista dei carnefici ma della vittima si innesca un'esperienza nella quale il carnefice o colui che ha abbandonato il Maestro (o  i discepoli impauriti al tempo della persecuzione)  diventa capace di riconoscere i suoi torti, le sue vittime e inizia a stare dalla loro parte. Così  è successo  a partire dalla Pentecoste e da S.Paolo. Ma ancor prima, ad esempio, da re Davide e il profeta Natan, e dai fratelli di Giuseppe. Si spiega così l'ingiustificato aggettivo di Parakleitos che viene usato per qualificare lo Spirito di Dio. Il termine deriva dall'ebraico goel che indica il difensore di un accusato in Tribunale.  La posizione del Paraclito è quella del difensore  della vittima. (Lo Spirito  è anche consolatore della vittima e forse per questo ci teniamo così tanto ad assumere il preteso posto della vittima, a occupare questo posto con un vittimismo che apre lo spazio anche alla mormorazione,  probabilmente come direbbe Chesterton si tratta di una verità cristiana impazzita cioè la nostra voglia di far bella figura e la nostra intuizione profonda ci fa sostenere di essere sempre vittime per essere consolati dallo Spirito Santo).
Con questo sguardo antropologico si capisce perché le Scritture parlano di Spirito Paraclito  cioè di un vocabolo greco che ha tradotto il termine ebraico goel che indicava il difensore del tribunale. San Girolamo non aveva capito cosa c’entrasse l'avvocato difensore giudiziale con la spiritualità e perciò si era limitato a mettere l'equivalente termine greco senza esplicitarlo. Invece è proprio il termine appropriato per difendere la vittima, a definire lo spirito di Dio. Così il cristianesimo ci dà una diverso possibile atteggiamento, un nuovo modello, il difensore che seguendo lo spirito giusto può diventare l'archetipo per svolgere bene la professione non solo nel campo giuridico ma, rovesciando il clichè abituale, tutti i mestieri cioè mettendosi al servizio, alla  difesa del beneficiario. Il cristianesimo ha offerto questa possibilità che molti hanno seguito.
La Parola di Dio diventa non solo esperienza di consolazione o indicatore morale (il divieto giuridico e o morale  spesso non è altro che un modo di tutela della persona potenziale vittima  e quindi anche le regole meritano rispetto) ma anche un possibile modo di trovare una identità consapevole del valore di un difficile lavoro che si viene a svolgere e su cui si può mettere  un originale valore aggiunto. La giustizia diventa così non solo un modo, spesso impotente, di restituire dei diritti violati (per la restituzione di un patrimonio ad una persona a cui è stato tolto (Dare il suo a ciascuno). Con un sorprendente capovolgimento la Giustizia diventa anche  il modo perché ognuno  dia il suo di più (J.Guitton) e realizzi il suo contributo vitale (per la pienezza della persona che dà: Ciascuno dia il suo). Allora,  si apre la strada alla carità come direbbe l'abate Rosmini la carità diventa la pienezza della giustizia.
Nel caso di persona ingiusta il ruolo del difensore è comunque necessario: si tratta nel campo penale di bilanciare  l'azione dell'accusa, la sua pena. Altrimenti si arriverebbe a una pena sproporzionata. Nel campo civile si cerca di tutelare, nel contraddittorio delle parti (entrambe rivendicano lo status di vittima, peraltro in certi casi frammentata tra una persona e l'altra,  in altri casi mobile  talvolta transitiva nel tempo da una parte all'altra), gli interessi meritevoli di tutela e arrivare alla giusta responsabilità. In entrambi i casi si tratta di rilevare e tutelare quei profili della persona che meritano di essere difesi. 

INTERVENTO DI ENNIO
Pensando al tema della serata mi è venuto in mente un aneddoto che risale alla mia infanzia. Era il periodo di carnevale e mio padre mi chiese quale maschera volessi per festeggiare. Io senza ombra di dubbio risposi: la divisa da cow-boy; convinto a quei tempi che erano loro i buoni e che si difendevano dai cattivi indiani.
Con grande sorpresa mio padre mi portò a casa il vestito da Capo-indiano, dicendomi: un giorno capirai.
Io al momento rimasi deluso, ma festeggiai comunque il carnevale.
Oggi che ho le idee più chiare sulla questione, ringrazio mio padre che mi ha trasmesso questi valori di giustizia e soprattutto perché mi ha fatto capire che bisogna sempre ricercare la verità, senza soffermarsi alle apparenze. 



Nessun commento:

Posta un commento