Commento alle letture della Seconda Domenica d’Avvento


Non possiamo negare che in questi giorni ci siamo sentiti tutti disorientati, un po’ più fragili, quantomeno insicuri rispetto al nostro futuro. Tra crisi economica e tensioni violente che continuamente riempiono la cronaca, quale speranza? Me lo chiedono anche i ragazzi delle classi terminali di scuola, i quali non sembrano così sicuri del loro cammino futuro.
Ma ecco che sopraggiunge il vangelo di questa seconda domenica d’Avvento, nel quale si legano tra loro tre verbi: “camminare”, preparare e sperare.
Sono stato sempre spiazzato dall’inizio di questo vangelo, fin da piccolo: la descrizione dettagliata delle coordinate storiche e geografiche in cui si svolge la scena a seguire appare quasi una fredda rendicontazione di cui si potrebbe fare a meno. In realtà Luca sottolinea fortemente come Dio non sia qualcosa di astratto, atemporale, ma si colloca dentro precise coordinate storiche; tra le righe ci viene detto dove incontrarlo: non relegato in luoghi santi, bensì nella dura realtà della vita. Proprio lì può irrompere la “voce” dell’annuncio di un’esistenza “diversa”.
Ma ciò che dovrebbe stupirci maggiormente (o forse scandalizzarci?) è che fra tanti personaggi illustri la Parola di Dio tocca il cuore di un uomo anonimo, Giovanni, per giunta nel deserto (quasi lo avvolge!). A causa di questa parola, il Battista non se ne sta in pace, ma comincia subito a percorrere “tutta la regione del Giordano”: la parola di Dio, infatti, quando ti tocca, è una Parola che ti “getta” fuori.
Oggi siamo circondati da parole: per vendere, spiegare, educare, per comprare, per ferire, per far assopire le coscienze; cerchiamo parole per farci amare, per nasconderci, per fingere… mentre in realtà abbiamo bisogno di parole per vivere. Da Te, Signore, sempre riceviamo in dono la Parola per pensare, per vivere, per amare, per parlare… Oggi, più che mai, per sperare.
Giovanni ci indica lo stile: egli è Voce perché per primo ha sperimentato come l’incontro con la Parola ti cambia la vita; riconosce di essere Voce, non Parola… La voce senza Parola sarebbe un insieme vuoto di suoni; ma la Parola senza Voce resterebbe muta. Nel suo annuncio egli si pone in continuità con il passato (è citato il profeta Isaia), aprendo al contempo alla novità: Raddrizzare sentieri, riempire burroni, abbassare monti, spianare luoghi impervi…
Come è possibile tutto questo? Nel deserto? Non c’è forse un’eccedenza di ottimismo, un tentativo – anche maldestro – di fuggire dalla realtà? In realtà siamo invitati a colmare i burroni delle nostre paure, ad appianare le colline delle nostre certezze, a raddrizzare le complicanze che nascono dai pensieri tortuosi del nostro cuore. Infatti il Cristo, che siamo chiamati ad accogliere, viene tra noi per indicarci il senso profondo del servizio, grazie al quale le “vie e le strade” saranno appianate, ridisegnate, rinnovate. In tal senso la salvezza che porta è universale: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. Dio non è per una categoria di persone, per un gruppo, un movimento o per uomini e donne religiosi, ma per tutti. Chiunque, infatti, accoglie il suo perdono si ritrova cambiato, rinnovato. Ostacolo alla conversione è il ritenersi a posto con la coscienza: questo arresta ogni tipo di comunicazione, d’impegno e di cambiamento di vita.
“Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell'Iturèa e della Traconìtide…”: Dio entra nella storia, di ieri, di oggi, la mia…

Davide Viadarin

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