Vangelo marzo 2016

Domenica 27 marzo
Dal Vangelo secondo Giovanni
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

La parola Pasqua in ebraico significa “passaggio” e ricorda il passaggio del popolo ebraico dalla schiavitù alla liberazione verso la Terra promessa. Mi sembra che la nostra festa della Pasqua abbia degli aspetti in comune con il passaggio dalla morte alla resurrezione che festeggiamo oggi.
In entrambi i casi è necessaria una morte, la morte del faraone travolto dalle acque, che simboleggia quella parte di noi che ci tiene prigionieri chiusi in noi stessi. E’ la parte che possiamo lasciar morire nel sepolcro di Gesù perché possa rinascere il nuovo che ci apre alla vita che meritiamo, una nuova vita. 
Francesca

Oggi qui davanti al sepolcro aperto, pieno di luce e di rinascita vi voglio raccontare questa settimana attraverso le immagini che più mi hanno emozionato e le parole che mi hanno nutrito:
la siepe dell’eremo: ci siamo trovati in una giornata di lavoro condiviso all’eremo per sistemare l’orto officinale. C’era una siepe che aveva sopra tutte le foglie vecchie e sotto quelle nuove: l’abbiamo potata insieme tagliando e togliendo il vecchio per far posto al nuovo che nasce;
la pelle di serpente: Nadia l’ha trovata tra le foglie e ci è sembrato proprio il segno di questa vecchia pelle che perdiamo, delle parti di noi che attraverso la morte di Gesù chiediamo di trasformare;
il vuoto: questa settimana tante volte ho sentito questa parola che mi fa un po’ paura. Il vuoto dentro di noi, il silenzio. Il vuoto nell’armadio per dar via ciò che non usiamo più e può servire ad altri. Il vuoto nella testa che fatica! Far tacere la corsa dei pensieri . Il vuoto che è presenza e stare, il vuoto del restare nella natura che ci aiuta;
le mani di Padre Renzo sulla mia testa durante il rito di riconciliazione comunitaria, la sua preghiera di benedizione e di perdono;
il senso del servizio del giovedì santo, l’esserci ognuno con le proprie mani, ognuno con mani diverse;
la croce, il silenzio del dolore, le donne che piangono e restano;
la grotta tra l’eremo e il monastero: ci siamo andati durante la camminata delle donne del sabato. Siamo entrati in silenzio al buio come dentro ad un sepolcro. Non si vedeva proprio nulla. Tante emozioni: coraggio, paura, insieme, le mani dei vicini, speranza anche nel buio.
Il pozzo del chiostro alla fine della camminata  con l’acqua che riesce a dissetare ognuno di noi dando a ciascuno ciò di cui ha sete;
il fuoco nuovo nella notte sotto le stelle con il suono del corno e ognuno con la propria luce, l’acqua che accoglie e benedice l’uomo nuovo che nasce chiamando ognuno di noi per nome.
Tatiana

C'è un gran senso di fretta che accompagna i giorni nostri, una fretta che crea il respiro corto.  Ma c'è un momento in cui tutto si ferma, non c'è più chi arriva prima e chi arriva dopo; davanti al sepolcro non si corre più.
Quanta fatica entrare nel sepolcro vuoto! E la nostra fatica di tutti i giorni se vogliamo guardarci dentro.
In questi giorni che hanno preceduto la Pasqua, all'eremo abbiamo cercato questo vuoto, è stato il nostro filo conduttore di questo tempo.
Abbiamo cercato il vuoto liberando gli armadi da troppe cose ferme da tempo, nel silenzio svuotandoci da tutte le parole inutili, pulendo il giardino delle piante officinali, togliendo tutte quelle parti morte alle piante come se ci liberassimo anche delle nostre parti morte.
Abbiamo lavorato fuori per lavorare anche dentro di noi; non si può entrare nel sepolcro portandoci dentro tante cose inutili.
Il sepolcro è vuoto. Fa paura il vuoto, è mancanza, crea disequilibrio, ma parla, anzi urla a gran voce.  Ma oggi è Pasqua. Il significato di Pasqua è di passaggio, è il passaggio dalla morte alla vita, dal buio alla luce, è passare per il sepolcro vuoto e tornare fuori, è spostare quel grande macigno che pesa nel cuore, quel macigno che protegge il sepolcro.
Posso entrare nel sepolcro con un atto di volontà, ma altrettanta volontà ci vuole per uscire, spesso le tenebre ci avvolgono come culla, e quando tutta l'attenzione è rivolta al buio, la luce non si vede.
Ci vuole volontà e coraggio anche per uscire alla luce del sole con tutte le nostre ferite, con i buchi che i chiodi hanno lasciato.
È una resurrezione intima prima di tutto, lo sentiamo dentro quando non siamo più inchiodati alla croce, quando il dolore non è più nostro compagno.
Pasqua è rinascere a nuova vita, Pasqua è resurrezione dal latino RE- di nuovo e SURGERE- levarsi su.
Pasqua allora per me è alzarsi in piedi, ridare dignità e sacralità alla nostra vita di uomini e donne.
E' far si che le nostre gambe siano pronte a camminare, a lasciare il segno dei nostri passi. 

Nadia


È di domenica, il primo giorno della settimana, che si svolge la scena descritta in questo brano del vangelo. Nel corso di un venerdì Gesù viene processato e crocifisso e poi deposto nel sepolcro. Quanto è successo in quei giorni è stato straziante per i discepoli di Gesù. Maria Maddalena, devota discepola, si reca al sepolcro per ungere la salma. Stremata dalla perdita del Rabbunì, il caro maestro, probabilmente immersa in mille pensieri e di sicuro non in un momento di serenità, vede il sepolcro aperto e la sua prima reazione è quella di correre, a mio parere da come traspare dal testo, in preda all'ansia di fronte all'evento imprevisto: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!"
Mi colpisce la dinamicità del racconto, tutti corrono, di fronte all'annuncio dell'inaspettato. Sento vicina la reazione di Maria Maddalena e mi fa chiedere “io di fronte al cambiamento inatteso come mi comporto? quante e quali emozioni mi lascio riempire durante la giornata? sono sempre pronto ad accogliere il cambiamento? quante volte ho paura di perdere qualcuno o qualcosa e quante volte vorrei che in alcuni momenti felici tutto si fermasse? “
Invece la vita, che vince la morte, e lo testimonia di fronte ad ogni evento per chi ha occhi per vedere, è un continuo e incessante movimento a cui non c'è preparazione e che supera ogni umana incredulità basata sull'abitudine di affidarsi esclusivamente sui sensi e sulla ragione.
È un risveglio potente, epocale, eppure avviene tutto nel più assoluto silenzio, anche questo mi colpisce, e come Simon Pietro e l'altro discepolo, quello che Gesù amava,”che non avevano ancora compreso le Scritture”, diamoci il tempo di comprendere, masticare, digerire questo evento e lasciamo che questo sepolcro vuoto sia lo spazio dentro di noi per accogliere tutta la gioia di comprendere di essere noi stessi Vita rinnovata.


Enrico

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